La testimonianza di Roberto M.

Esperienza di Near Death Experience (N.D.E.)

Quand’ero ragazzo, d’estate, andavo spesso a fare il bagno in una grande pozza d’acqua formata dal fiume Corsolone, situata lungo la strada che porta al Santuario della Verna.

Erano le ore 13 di un caldo giorno del mese di agosto del 1980. Avevo scelto quell’ora per evitare l’affollamento che spesso si riscontrava nella bella stagione ed infatti ebbi l’impressione che non ci fossero altre persone oltre me.

Non avevo mai imparato a nuotare ma, negli ultimi tempi stavo facendo qualche piccolo progresso. Ero diventato molto bravo a tuffarmi. Dopo essermi riempito i polmoni d’aria, mi buttavo dalla cascata con le braccia distese sopra la testa. Entravo così in acqua senza paura. La mia difficoltà consisteva nel riprendere aria senza poter toccare con i piedi per terra. Dovevo fare attenzione perché ogni volta rischiavo di bere acqua anziché respirare.

Quel giorno, dopo cinque bei tutti, ero salito di nuovo sulla cascata. Purtroppo, appoggiando un piede su una superficie scivolosa, persi l’equilibrio e caddi nell’acqua da un’altezza di cinque metri. Mi girai più volte su me stesso fino a perdere l’orientamento. Non mi rendevo più conto di dove fosse il sopra e il sotto ed una grande paura cominciò ad impossessarsi di me.

Mi ritrovai improvvisamente privo di aria. Cominciai così a bere acqua fino a riaffiorare in superficie tutto sconvolto. Non riuscivo a gridare per chiedere aiuto. Avevo bisogno d’aria, ma non potevo respirare poiché avevo la bocca e la gola piene di acqua. Agitandomi e facendo movimenti per restare a galla non riuscivo che ad affondare di più. Riaffiorai ancora per un attimo una seconda e poi una terza volta, ma ero ormai rassegnato e mi lasciai trascinare di nuovo giù. Mi rendevo conto, ormai, che non sarei mai più tornato in superficie.

Fino a quel momento della mia vita non avevo mai preso in considerazione l’eventualità della mia morte, non avevo pensato abbastanza a questa realtà. Naturalmente partecipavo, come tutti, in varie occasioni, ai funerali di parenti ed amici ma, in queste circostanze, la morte sembrava riguardare soltanto gli altri, mentre su di me questo pensiero non aveva mai avuto peso.

Ora posso dire che evitavo di pensarci perché ne avevo molta paura.

Non riuscivo ad immaginare cosa sarebbe accaduto in quel momento, sentivo che non avrei potuto aggrapparmi a niente restando completamente solo con me stesso.

Questa inesorabile solitudine era la mia principale preoccupazione, oltre al timore dell’ignoto. Il me stesso sconosciuto e profondo nascondeva, lo so, verità che difficilmente avrei potuto accettare.

Naturalmente questa paura era accompagnata anche dal dispiacere di dover lasciare i miei genitori, i fratelli, gli amici, le cose materiali, i miei affetti ed i miei interessi in generale, cioè tutto ciò che costituisce il contorno, ma anche, questo allora pensavo, il senso della vita.

Fu una grande sorpresa scoprire, invece, che tutte queste cose non avevano in realtà vero interesse per me. Ad esempio, ciò che mi sembrava di provare separandomi da mia madre era la stessa cosa che sentivo lasciando una qualunque altra persona. Questo non sminuiva l’amore e la riconoscenza che avevo per lei, percepivo però, molto chiaramente, che tutti siamo importanti e siamo tutti sullo stesso piano. Capii, in quel momento, che il dispiacere di morire non veniva dal lasciare tutto questo, ma dalla consapevolezza di non aver fatto abbastanza del bene agli altri nella mia vita. Questo era l’unico vero rammarico che provavo andandomene.

A questo punto dell’esperienza ho perso il contatto con il mio corpo e ho incominciato a rivivere attimo per attimo tutti gli eventi della mia vita, anche i piccoli particolari che avevo del tutto dimenticati a livello cosciente. Li ho rivissuti intensamente, con ogni sfumatura di sensazione, molto più profondamente di quando erano accaduti.

Quei momenti di vita mi apparivano come in un grande schermo.

Riuscivo a sentire anche gli odori e i sapori del loro accadere, come se accadessero realmente un’altra volta in quel preciso momento: tanti attimi vissuti di cui non avevo più alcuna memoria.

Ho rivissuto un’esperienza avuta in prima elementare quando, a scuola, durante l’intervallo, avevo fatto la lotta con un mio compagno. Ero riuscito a sovrastarlo e mi sentii felice ed orgoglioso di essere stato più forte di lui. Mentre rivivevo questa esperienza, però, non provavo più gioia per averlo vinto, ma tristezza ed amarezza perché sentivo di averlo umiliato. Non vedevo più questo bambino come qualcosa di distinto da me. Ovvero io sono io, lui è lui e tutto ciò che gli succede non ha nessuna importanza per me.

Non eravamo due entità distinte, ognuno nel proprio corpo dai ben precisi confini, ma lo sentivo come se fosse un prolungamento di me stesso. Così io provavo la sua sofferenza per l’umiliazione che gli avevo arrecato.

Ho associato questo insegnamento a ciò che disse Gesù quando affermò “Io sono la vite, voi siete i tralci”. Ho capito che, in realtà, siamo tutti una cosa sola.

Oltre a rivivere azioni sbagliate, per le quali ho provato sofferenza, ho rivissuto anche un’esperienza positiva, sentendola tale molto di più del momento in cui l’avevo realmente vissuta: aiutare una signora anziana ad attraversare la strada.

Ho sempre ammirato le grandi opere di bene di San Francesco e di Madre Teresa di Calcutta ed io, in un certo senso, mi sentivo una nullità in fatto di carità.

Questa esperienza mi ha fatto capire che le grandi cose stanno proprio nelle cose semplici.

La gioia che ho provato era dovuta al fatto di rivolgere l’attenzione non più a me stesso, ma ad un’altra persona in maniera totalmente disinteressata.

Rivivere le mie esperienze negative e provare per questo sofferenza è stato, per me, come purgarmi dal male; è stato come sperimentare il purgatorio nella mia coscienza.

Questo mi ha reso consapevole che il purgatorio e l’inferno come luoghi oggettivi non esistono, ma sono stati d’animo. Ho sentito che Dio è Amore e misericordia infinite e non vuole il male di nessuno. Anche il Paradiso è uno stato d’animo ed è per tutti.

Un altro aspetto che mi ha colpito profondamente riguarda il giudizio che ci sarà alla fine della vita. I miei genitori sono cattolici, quindi, fin da piccolo, ho seguito questo insegnamento. Il catechismo mi aveva presentato un Dio che vedeva tutto ciò che facevo e che quindi mi avrebbe giudicato secondo il bene ed il male commesso. In quel momento, invece, era la mia coscienza che giudicava le azioni fatte con una lucidità impressionante. Nella vita, quando ci troviamo a prendere una decisione, pensiamo di poter definire la nostra scelta con un’ampia gamma di sfumature, ovvero possiamo definire le nostre azioni: né bene, né male, oppure abbastanza bene, benino o poco male e così via …

In quella situazione, invece, la distinzione era netta, precisa: o era bene o era male.A questo punto della mia esperienza mi apparve una forte luce, come un sole, una luce che, nonostante fosse luminosissima, potevo guardare tranquillamente, senza provare fastidio, poiché non la guardavo con gli occhi fisici, bensì con quelli spirituali.

Mi sentivo attirato verso questa luce: mi è molto difficile descrivere con le parole ciò che ho provato.

Questa meravigliosa luce mi infondeva un senso di calma, di benessere, di bontà, di gioia, di pace, di amore e di accettazione.

Questa sensazione di accettazione era bellissima perché, per la prima volta in vita mia, mi sono sentito accettato per come sono, senza alcun bisogno di apparire migliore o chissà in quale altro modo, ma proprio così come sono: ed era stupendo.

In quella luce che ormai mi avvolgeva completamente, sentivo l’armonia e sperimentavo la perfezione di tutte le cose. Era chiaro che tutto aveva un senso e che io facevo parte di questo tutto, pur conservando la mia identità.

Fu allora che, all’improvviso, sentii una mano che mi stava afferrando un braccio e ripresi subito coscienza del mio corpo e della mia sofferenza.

Non riuscii a fare altro che restare immobile e mi feci trascinare verso riva.

La persona che mi ha salvato raccontò che, mentre stava prendendo il sole sul greto del fiume, si accorse delle mie difficoltà e corse verso di me per aiutarmi.

Una cosa, però, mi lascia perplesso. Come fu possibile che io, nonostante mi fossi tuffato dall’alto della cascata varie volte, da un punto in cui si dominava tutto il corso del fiume, non avessi notato la sua presenza e come potè lui vedere che stavo affogando stando sdraiato accanto al fiume. Inoltre, non seppi mai chi fosse, ne da dove venisse!

Nel complesso credo di essere stato sott’acqua per due o tre minuti ed è stupefacente come abbia potuto vivere una così ampia gamma di pensieri e sensazioni in un frammento di tempo tanto breve. E’ stata una vicenda eccezionale per me, un vero regalo della vita che mi ha fatto capire e sentire cosa succede quando il nostro Spirito lascia il corpo fisico. Quell’esperienza meravigliosa ha cancellato per sempre dal mio cuore e dalla mia mente la paura di quell’evento che comunemente chiamiamo morte, dandomi la consapevolezza della reale esistenza della nostra essenza immortale.

Roberto